Le Esequie di don Angelo Ciancotti: L'omelia del Vescovo Domenico

Omelia nel Rito delle Esequie di don Angelo Ciancotti presiedute da S.E. Mons. Domenico Pompili

Esequie di don Angelo Ciancotti: l’omelia del Vescovo Domenico

Martedì della VI settimana di Pasqua 2021 (At 16,22-34; Sl 138; Gv 16,5-11)

“Ora vado da colui che mi ha mandato e nessuno di voi mi domanda: Dove vai?”. Gesù è, ormai, “un uomo che cammina verso la morte”, al cospetto dei discepoli sopraffatti dalla ‘tristezza’. Il Maestro, però, non ha un tono rassegnato o lamentoso. Appare audace e visionario, al punto da sollevare la domanda che nessuno ha il coraggio di porre: “Dove vai?”. Potremmo tradurla così per noi oggi: dove va la vita? E’ una domanda spesso censurata e se ne capisce il perché. La vita ha un senso? Che senso ha se va a sbattere contro il muro della morte, magari all’improvviso: per un incidente sul lavoro, volando su un deltaplano, o a causa di una neoplasia? Per questo sembra che la vita vada presa per quello che è, senza porsi troppo domande. A che serve interrogarsi su dove si va? Tutt’al più si tratta di scegliere se affidarsi al caso o alla fortuna. Ma Gesù ci incalza perché gli chiediamo: “Dove vai?”.

“Dove vai?”. La domanda è decisiva e porsela è già un atto di speranza. Se, infatti, Gesù va – al netto della morte – allora c’è un ‘oltre’. Per questo le parole dell’uomo che si incammina verso la croce più che un ‘addio’ suonano come un ‘arrivederci’. I cristiani della prima generazione erano identificati come quelli della “via” (Cfr. Atti) perché il cristianesimo nel buio del paganesimo che era succube della superstizione, aprì la via della Pasqua di Cristo, che funge da battistrada. E’ soltanto perché Lui per primo è passato attraverso la morte e la resurrezione che a noi è dato di sperare ‘oltre’. E’ urgente, dunque, porsi la domanda su dove si va, intendendo non tanto evocare uno “spazio”, quanto piuttosto una “relazione” con Lui che non si interrompe, ma ci accompagna attraverso la selva oscura.

Don Angelo a questa ‘via’ che è Gesù Cristo che apre la vita ‘oltre’ sé stessa, ha aderito e creduto, con entusiasmo e con intelligenza, riuscendo ogni volta a travolgere qualsiasi ostacolo. E’ stato un uomo e un credente senza fughe, né evasioni, né spiritualismi, ma sempre ancorato alla realtà, alla storia, alla vicenda quotidiana. La sua concretezza lo ha reso interlocutore attento di vasti settori della società civile e interprete affidabile della vita ecclesiale. Non mi riferisco soltanto alla sua passione per la bellezza e per l’arte, ma al suo ‘tarlo roditore’ che mi è parso di cogliere tra le righe delle conversazioni: la capacità di trasformare l’esistente, di reagire alle avversità, di servire la comunità nel bene e nel male.

Don Angelo ha percorso la via che porta a Dio. Ora noi, al Dio della vita affidiamo la nostra speranza incerta con le parole del Salmo 138: “La tua destra mi salva. Il Signore farà tutto per me. Signore, il tuo amore è per sempre: non abbandonare l’opera delle tue mani”.

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