Maria meditava nel suo cuore

Riflessione del Vescovo Domenico Pompili con i sacerdoti presso la Chiesa dell’Adorazione nella settimana in preparazione alla Solennità della Madonna delle Grazie – Giovedì 7 ottobre 2021

MARIA MEDITAVA NEL SUO CUORE

(Incontro coi preti di Ascoli, 7.10.2021)

1. Il silenzio meditativo

“Al contrario Maria tutte conservava queste parole meditandole nel suo cuore” (Lc 2,19).

“Al contrario”, particella avversativa che sottolinea il silenzio di Maria rispetto alle esclamazioni, alle lodi, alle grida di stupore degli altri.

“Tutte”: faceva attenzione a ogni particolare, annotandolo, recependolo e ordinandolo interiormente.

“Conservava”, in greco synetérei, come si conserva il vino buono per il tempo opportuno nel pranzo degli sposi; è il mettere in serbo qualcosa di prezioso e da utilizzare nel momento necessario.

“Queste parole”, ta rémata taùta; espressione pregnante per indicare sia le parole-oracoli pronunciate a riguardo del bambino (salvatore, Cristo Signore), sia le parole-eventi, gli eventi significativi. Maria li coglie.

“Li coglie” e li medita, in greco symbàllousa. In altri passi dell’opera lucana, il verbo vuol dire semplicemente ‘conversare’, incontrare, mentri qui ha significati più complessi. La radice greca è la stessa di “simbolo” e allude alla ricerca del senso recondito di una cosa visibile oppure al soppesare, paragonare, confrontare. E’ insomma l’attività di chi, incastrando le tessere di un mosaico cerca di capirne l’insieme.

“Nel suo cuore” è un’aggiunta importante. L’attività di Maria non è puramente intellettuale bensì affettiva e cordiale.

Il v. 19 viene ripreso, anche se non identicamente, al v. 51, nell’episodio della perdita di Gesù a Gerusalemme. I genitori non compresero la risposta del figlio dodicenne, ma la madre “serbava tutte queste cose”. La doppia menzione di Luca (il verbo dietérei di 2,51 ha lo stesso senso di synetérei) ci permette di intuire il valore che attribuisce alla funzione di Maria, al suo modo di operare, da cui nasce la meditazione cristiana: dal suo soppesare, rimuginare, paragonare, confrontare le parole e gli eventi in un esercizio di affettività interiore, proprio dell’essere di fronte a Dio in preghiera.

C’è, dunque, un meditare che confronta testi, dati ed eventi e li lascia maturare nella profondità dello spirito.

C’è un meditare senza parole o concetti distinti, senza bisogno di ragionamenti interiori, che consiste nell’unificare fatti e detti biblici nella persona di Gesù amato e adorato e, nel padre, adorato quale sorgente di tutto.

C’è un meditare che può essere teorico, verbale, logico e a un tratto può diventare in modo preponderante affettivo, prelogico, unificante, nutritivo dello spirito, non necessariamente produttore di idee e di concetti. Questi tipi di simbolizzazione sono l’orazione mentale della chiesa, indispensabile al pastore chiamato a fare sintesi, per se e per la gente, di realtà disparate e apparentemente contradditorie, a fare sintessi intellettuale e insieme affettiva. Perciò il pastore a nome della Chiesa è chiamato a esercitarsi con Maria e come Maria nella meditazione; è parte del suo ministero e ad essa deve dare tempi lunghi, silenziosi, tempi di adorazione e di ascolto.

Illuminaci, o Maria, sull’attività meditativa, così fondamentale e così preziosa per l’unità della nostra vita e del nostro ministero.

Riascoltiamo Paolo VI a Nazareth il 5 gennaio 1964:

“La casa di Nazareth è la scuola dove si è iniziati a comprendere la vita di Gesù, cioè la scuola del Vangelo. Qui si impara ad osservare, ad ascoltare, a meditare, a penetrare il significato così profondo e così misterioso di questa manifestazione del Figlio di Dio tanto semplice, umile e bella. Forse anche impariamo, quasi senza accorgercene, ad imitare.

Qui impariamo il metodo che ci permetterà di conoscere chi è il Cristo. Qui scopriamo il bisogno di osservare il quadro del suo soggiorno in mezzo a noi: cioè i luoghi, i tempi, i costumi, il linguaggio, i sacri riti, tutto insomma ciò di cui Gesù si servì per manifestarsi al mondo.

Qui tutto ha una voce, tutto ha un significato. Qui, a questa scuola, certo comprendiamo perché dobbiamo tenere una disciplina spirituale, se vogliamo seguire la dottrina del Vangelo e diventare discepoli del Cristo. Oh! come volentieri vorremmo ritornare fanciulli e metterci a questa umile e sublime scuola di Nazareth! Quanto ardentemente desidereremmo di ricominciare, vicino a Maria, ad apprendere la vera scienza della vita e la superiore sapienza delle verità divine! Ma noi non siamo che di passaggio e ci è necessario deporre il desiderio di continuare a conoscere, in questa casa, la mai compiuta formazione all’intelligenza del Vangelo. Tuttavia non lasceremo questo luogo senza aver raccolto, quasi furtivamente, alcuni brevi ammonimenti dalla casa di Nazareth.

In primo luogo essa ci insegna il silenzio. Oh! se rinascesse in noi la stima del silenzio, atmosfera ammirabile ed indispensabile dello spirito: mentre siamo storditi da tanti frastuoni, rumori e voci clamorose nella esagitata e tumultuosa vita del nostro tempo. Oh! silenzio di Nazareth, insegnaci ad essere fermi nei buoni pensieri, intenti alla vita interiore, pronti a ben sentire le segrete ispirazioni di Dio e le esortazioni dei veri maestri. Insegnaci quanto importanti e necessari siano il lavoro di preparazione, lo studio, la meditazione, l’interiorità della vita, la preghiera, che Dio solo vede nel segreto.

Qui comprendiamo il modo di vivere in famiglia. Nazareth ci ricordi cos’è la famiglia, cos’è la comunione di amore, la sua bellezza austera e semplice, il suo carattere sacro ed inviolabile; ci faccia vedere com’è dolce ed insostituibile l’educazione in famiglia, ci insegni la sua funzione naturale nell’ordine sociale. Infine impariamo la lezione del lavoro. Oh! dimora di Nazareth, casa del Figlio del falegname!

Qui soprattutto desideriamo comprendere e celebrare la legge, severa certo ma redentrice della fatica umana; qui nobilitare la dignità del lavoro in modo che sia sentita da tutti; ricordare sotto questo tetto che il lavoro non può essere fine a se stesso, ma che riceve la sua libertà ed eccellenza, non solamente da quello che si chiama valore economico, ma anche da ciò che lo volge al suo nobile fine; qui infine vogliamo salutare gli operai di tutto il mondo e mostrar loro il grande modello, il loro divino fratello, il profeta di tutte le giuste cause che li riguardano, cioè Cristo nostro Signore”.

2. Custodire nel cuore: consapevolezza e profondità

Cosa conserviamo nel cuore? La vita spesso ci scivola addosso, Le sperienza si succedono. I fallimenti crescono. Eppure il cuore è il luogo in cui le cose possono trovare senso. Nell’antropologia biblica il cuore è il centro della persona, là dove tutto confluisce. Mi piace pensare che il secondo capitolo del Vangelo di Luca contenga una sorta di diario che Maria ha scritto dentro di sé per consegnarlo un giorno al Figlio come la sua più grande ricchezza. Le due citazioni del v. 19 e del v. 51 sono come le braccia di una mamma intorno al collo del figlio, come la custodia di uno scrigno prezioso. Ci sono dentro tutte le cose che Maria ha faticato a comprendere, ma ha lentamente metabolizzato dentro di sé. Maria è la donna del discernimento.

Ricordare e custodire

Accogliere senza giudicare

Pensare e amare

Fin dall’inizio Maria si è preparata a separarsi dal figlio, La spada che le è stata annunciata è quella della separazione, della distanza sempre più grande tra lei e il figlio. La spada dell’incomprensione: amare un figlio, senza capire dove vuole andare. E’ l’angoscia di tante mamme che vedono crescere i propri figli lasciandosi sorprendere. Una mamma che non può programmare la vita del figlio. E talvolta la sua sofferenza sarà proprio la vita del figlio. In questo esercizio di separazione, Gesù ha imparato il valore della castità. La capacità di saper prendere le distanze per amore dell’altro, per non possederlo, per lasciarlo vivere. La castità è fermarsi davanti alle esigenze dell’altro: “Perché mi cercavate?”.

Accanto al voto di castità si staglia quello di vastità perché sulla croce Gesù affida la Madre al discepolo e il discepolo alla Madre. Nessuna concessione o indulgenza verso la propria condizione, ma l’apertura all’altro per rilanciare la missione del Vangelo.

Oggi la prova del logorio è quella più snervante che dobbiamo provare a contrastare. Anche Maria l’ha sperimentata. Gli anni passano. L’impressione viva e confortante dell’annunciazione svanisce, non ne rimane che un ricordo sfumato, come una eco lontana. La Madre si sente stretta tra lo splendore delle antiche promesse e la realtà presente così opaca. La monotonia prese a dimora a Nazaret. Che coa faceva maria lungo le ore del giorno? Compiva i gesti normali di oni donna e madre: macinava il grano, impastava il pane, raccoglieva la legna nel bosco, attingeva alla fontana. Soprattutto ripensava le parole che un giorno erano state proferite al suo orecchio: “Sarà grande, sarà chiamato Figlio dell’Altissimo… il suo Regno non avrà fine”. Per non soccombere Maria ha dovuto sviluppare una enorme quantità di fede adulta, pura e nuda, quella che si appoggia solo su Dio.

SIGNORA DELLA PASQUA

Signora della croce e della speranza,

Signora del venerdì e della domenica,

Signora dellla notte e del mattino,

Signora di tutte le partenze,

perché sei la Signora

del ‘transito’ e della ‘pasqua’.

ASCOLTACI:

Oggi vogliamo dirti ‘grazie’.

Grazie, Signora, per il tuo fiat;

per la tua completa disponibilità di ‘schiava’.

Per la tua povertà e il tuo silenzio.

Per il gaudio delle tue sette spade.

Per il dolore di tutti i tuoi distacchi

Che diedero la pace a tante anime

Per essere rimasta con noi

Nonostante il tempo e le distanze (car. E. Pironio).

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