Omelia del Vescovo Domenico Pompili nelle esequie di Aleandro Petrucci
24 Dicembre 2020. Omelia del Vescovo Domenico Pompili nella Celebrazione del Rito delle Esequie del Sindaco di Arquata Aleandro PetrucciOmelia del Vescovo Domenico nelle esequie di Aleandro Petrucci (sindaco di Arquata)
Giovedì 24 Dicembre 2020
(2 Sam 7,1-5.8b-12.14a.16; Sl 89; Lc 1,67-79)
“Quando i tuoi giorni saranno compiuti e tu dormirai con i tuoi padri, io susciterò un tuo discendente dopo di te, uscito dalle tue viscere”. Le parole rivolte al re Davide chiariscono che non sarà lui a costruire una casa a Dio, ma sarà piuttosto Dio a garantirgli una discendenza. Il che spiega perché a Natale è festa: è Dio che si fa vicino e non tocca più all’uomo dare l’assalto al cielo perché facendosi uomo, Dio stesso prende dimora in mezzo a noi. Questa prospettiva non cambia solo l’approccio religioso, ma si presta pure ad interpretare la parabola umana e politica di Aleandro. Il Sindaco è stato uno che non ha pensato a farsi una casa, ma ha lavorato perché Arquata torni una casa ospitale. Non si è concentrato sul presente, ma ha cercato di anticipare il futuro. A questo proposito, colgo in una confidenza di don Nazzareno e cioè nell’amore tenerissimo di Aleandro per la nipotina qualcosa di più del semplice cedimento senile di un uomo. C’è la consapevolezza, senza enfasi e parole vuote, che bisogna far strada, senza farsi strada.
La migliore politica, la politica di cui c’è bisogno, è quella che proprio nei momenti difficili opera sulla base di grandi principi e pensando al bene comune a lungo termine. E Aleandro, in una sorta di riconoscimento bipartisan, è stato proprio così. Ha pensato al futuro e non al presente. Tantomeno al passato. Ora che non c’è più, non basta però la nostalgia; occorre far tesoro della sua lezione di vita che suggerisce almeno due attenzioni da coltivare nel tempo che verrà.
La prima attenzione è avere uno sguardo costantemente rivolto alla ricostruzione sociale ed economica, per evitare di costruire case vuote o cattedrali nel deserto. Come si fa? Come fece Aleandro quando chiese ed ottenne l’apertura della fabbrica ad Arquata per lasciare che la gente potesse vivere e non solo sopravvivere. Dobbiamo tutti lavorare perché l’Appennino sia vissuto e non osservato; sia quel che è, cioè la spina dorsale del Paese, che va collegato e non isolato dal resto della Penisola.
La seconda attenzione è indirizzata alle nuove generazioni, sulle cui spalle viene apposto un debito importante. Sarebbe un peccato mortale se al contempo non offrissimo gli strumenti spirituali e culturali per attraversare questa lunga marcia nel deserto. Per far questo c’è bisogno di padri come Aleandro che hanno fatto della libertà da se stessi il marchio di fabbrica. “Essere genitori è da accettare come un “affare in perdita”. Meglio sapere subito che c’è una data di scadenza nell’essere genitori, non si può esserlo per sempre, i figli diventano uomini e donne e c’è da augurarsi che abbiano bisogno di noi il meno possibile” (L. Pigozzi).