Omelia del Vescovo Domenico nella Solennità di Maria SS. Madre di Dio
1 Gennaio 2021 Basilica Cattedrale Santa Madre di DIo, omelia del Vescovo Domenico Pompili nella Solennità di Maria SS. Madre di DioOmelia del Vescovo Domenico nella Solennità di Maria SS. Madre di Dio – 1 Gennaio 2020 – Basilica Cattedrale Santa Madre di Dio – Ascoli
“Maternità divina di Maria”
(Nm 6, 22-27; Sal 66 (67); Gal 4,4-7; Lc 2,16-21)
“Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore”. L’evangelista Luca non lo dice, ma è lecito immaginare che nel mentre Maria si stupiva di quel piccolo uomo che aveva tra le braccia, non cessasse di accarezzarlo tra le sue mani. “Del resto non sono forse le mani il primo volto della madre? Non sono state forse la mani di mia madre che hanno accarezzato il mio corpo seminandolo di lettere, di memorie, di segni, arandolo, come fosse terra?”. Così si interroga uno psicanalista (M. Recalcati) che fa delle “mani della madre” il simbolo della “cura”, cioè di quell’interesse “particolareggiato”, di quella “grazia dell’attenzione” (S. Weil), che è l’arte di fare posto al carattere unico del soggetto. L’amore materno, infatti, non è mai amore di una rappresentazione ideale del figlio, ma è piuttosto amore per la sua irregolarità, è amore per la sua stortura. Come dice efficacemente un detto napoletano: “Ogni scarrafone è bello a mamma sua” (!).
Allora comprendiamo perché papa Francesco nel suo Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace, intitolato: “La cultura della cura come percorso di pace”, precisi che dinanzi alla grave crisi sanitaria del Covid – 19 occorre appunto ritrovare la cultura della cura, “per debellare la cultura dell’indifferenza, dello scarto e dello scontro, oggi prevalente” (n. 1). Non basta, infatti, un amore generico, universale, perché la peggiore ingiustizia è dare a tutti la stessa cosa. Questa consapevolezza è decisiva per garantire la pace sociale perché la pandemia ha reso più poveri tanti, ma non tutti, e non tutti alla stessa maniera. Qui più che mai sono richieste le “mani della madre” e non “la mano invisibile del mercato”, secondo cui se l’acqua di un fiume si alza solleverà tutte le barche, di qualsiasi dimensione. In realtà, le cose non stanno così se dopo la pandemia ci saranno nuovi poveri e… nuovi ricchi. L’idea dell’homo oeconomicus è superata: in essa si pensa all’uomo solo come maschio adulto, bianco e in buona salute, isolato dal resto del mondo. Mentre l’idea reale è quella di papa Francesco nelle sue Encicliche: donne e uomini in relazione tra loro, con le generazioni, con il creato.
Chi potrà costruire un’economia fondata su queste basi? Vien da pensare che la donna e il figlio siano la rotta da seguire per uscir fuori dalla crisi che la pandemia ha solo slatentizzato, ma che rischia ora di deflagrare. “Tutto è collegato”: solo questa consapevolezza è in grado di sovvertire un approccio maschile che isola invece di unire e discrimina invece di riconoscere. D’altra parte: “Finché l’uomo sfrutterà l’uomo, finché l’umanità sarà divisa in padroni e servi, non ci sarà né normalità né pace” (P.P.Pasolini).
Video dell’omelia: