Pescatori o Pastori
Riflessione del Vescovo Domenico ai sacerdoti per gli esercizi spirituali del Clero a ValledacquaPESCATORI O PASTORI
Esecizi Spirituali del Clero, Valledacqua, Giovedì 2 Settembre 2021
La parola ‘pescatore’ non è sicuramente molto importante nella Bibbia: nell’Antico Testamento compare tre volte, in contesti però poco significativi ed occasionali. Maggior rilievo assume nel Nuovo Testamento, a motivo del fatto che alcuni apostoli esercitavano questo mestiere prima di seguire Gesù. In ogni caso, il termine non può certo reggere il paragone con quello di ‘pastore’, che sia nel mondo greco come nell’Antico Testamento era una delle metafore preferite per designare il sovrano saggio e addirittura Dio stesso, e che compare nei Vangeli e nelle lettere apostoliche come un titolo di Cristo e una caratteristica dei ministri cristiani.
Seguendo la categoria di ‘pastore’ si potrebbe quindi tratteggiare una compiuta ‘teologia del ministero ordinato’, a partire da Dio, passando attraverso Gesù e arrivando a Pietro, agli apostoli e ai loro collaboratori e successori, come ha fatto autorevolmente Giovanni Paolo II nel documento Pastores davo vobis. Partendo invece dalla categoria di ‘pescatore’… ci fermiamo subito, perché Dio non si definisce mai ‘pescatore’, e nemmeno Gesù, e neppure diventa uno dei termini che indichi qualche ministero cristiano. Eppure, considerando le quattro scene nelle quali alcuni apostoli appaiono nell’atto di pescare, è possibile rileggere le dimensioni fondamentali del ministero, inserite in quelle di tutta la Chiesa: la vocazione, la comunione e la missione.
Le quattro scene, una per ciascuno dei Vangeli, hanno alla base probabilmente solo due episodi: una chiamata di Gesù ai primi discepoli e un’apparizione del Risorto ad alcuni di loro. Mc 1,16-20 e Mt 4,16-22 sono perfettamente sinottici e raccontano che Gesù, passando lungo il mare di Galilea, chiama successivamente due coppie di fratelli pescatori: Simone e Andrea, Giacomo e Giovanni.
Lc 5,1-11 e Gv 21,1-14, invece, presentano l’episodio della pesca miracolosa ma in maniera piuttosto diversa: per Lc la scena si svolge all’inizio del ministero di Gesù e coincide, in parallelo con Mc 1 e Mt 4, con la chiamata dei primi discepoli (compresa l’espressione ‘pescatore di uomini’); in Gv, al contrario, la scena si svolge dopo la risurrezione di Gesù ed è una delle sue apparizioni. Alcuni esegeti ritengono che sia Lc a ‘retroproiettare’ nella vita del Gesù terreno il ricordo di un episodio pasquale.
Considerando insieme i quattro racconti, nel rispetto delle loro differenti intenzioni, è possibile dunque richiamare alcuni aspetti decisivi della vita ecclesiale e ministeriale; quelli, appunto, che ruotano attorno alla chiamata, alla comunione e alla missione.
Vocazione
La chiamata dei primi apostoli è segnata da alcuni tratti che rimangono incisi per sempre nella Chiesa e nei suoi ministri. Noi, ‘addetti ai lavori’, abbiamo bisogno ogni tanto di rimeditarli, perché altrimenti rischiamo che la bellezza della nostra vocazione venga seppellita da una massa di polvere e cadiamo nella trappola di trasformarci in “funzionari di Dio”. Come ricordano gli esegeti e anche il Papa in Pastores dabo vobis, è sempre attuale per tutti i ministri ordinati l’invito di Paolo a Timoteo di “ravvivare il dono di Dio che è in te per l’imposizione delle mie mani” (2 Tim 1,6). Proviamo quindi a soffiare sulla brace, non con le nostre forze ma con l’aiuto dello Spirito e della Parola di Dio.
Un primo aspetto della vocazione apostolica sottolineato da Mc e Mt è l’ordinarietà. Gesù li chiama “mentre camminava”, mentre essi “gettavano la rete in mare” e “riassettavano le reti”. Tutta la scena è connotata da gesti ordinari. Il Signore non ha bisogno di creare uno spazio sacro per chiamare; non va a cercare i primi apostoli nella vicina sinagoga né tantomeno al Tempio di Gerusalemme; li prende dal luogo di lavoro quotidiano (il mare di Galilea), mentre compiono i comuni gesti di ogni giorno.
Ma è soprattutto un altro aspetto che qui viene sottolineato, con l’espressione “pescatori di uomini” (Mt. Mc e Lc): la vocazione non è per mortificare ma per riempire l’umano. Gesù ha davanti dei pescatori, e non pensa di stravolgerne la natura; non promette qui, come dirà più avanti, di farli “pastori” o “operai” per la messe di Dio. No: sono pescatori, e Gesù li prende così: promette di elevare la natura, non di cancellarla. La loro umanità verrà posta a servizio del Regno, non annichilita e frustrata.
E’ una sfida enorme per il cristianesimo: nella mentalità comune, umano e cristiano fanno a pugni. Pesa ancora la valutazione dei cristiani che Lessing, già alla fine del Settecento, esprimeva così : “il loro motivo di vanto è essere cristiani, non uomini” (Nathan il saggio, v. 868).
E la sfida è ancora più forte quando parliamo della vocazione al ministero. Non sarà un caso che nel linguaggio corrente l’aggettivo “clericale” è sinonimo di “falso, subdolo” e l’aggettivo “laico” è una sorta di parola magica per dire “onesto”, “trasparente”, “razionale”.
Noi preti corriamo forse più dei laici il rischio di irrigidire, col passare del tempo, i nostri difetti: poiché normalmente non abbiamo nessuno (a meno che non lo andiamo a cercare) che ci aiuti quotidianamente, nella correzione fraterna, a limare le asperità del carattere e imparare a ragionare non solo alla prima persona singolare, è facile che a poco a poco assumiamo una personalità spigolosa. Si tratta, insomma, di far sì che le tre virtù teologali si innestino sulle quattro virtù cardinali e le elevino senza distruggerle. Altrimenti non siamo credibili quando predichiamo che Cristo porta a pienezza l’umano.
Comunione
La metafora del pescatore, diversamente da quella del pastore, nel mondo antico è essenzialmente ‘comunitaria’. Non si andava a pescare con la canna, ma con la rete; e perciò ci si andava assieme, perché la rete si doveva gettare e tirare a riva in più persone, e la sua stessa lavatura e sistemazione dopo la pesca era impossibile ad uno solo. Mc e Mt presentano i primi apostoli che lavorano in coppia, a cui si aggiungono anche Zebedeo e i garzoni (questi ultimi in Mc); Lc parla inizialmente della “barca che era di Simone”, ma poi alla fine dell’episodio saltano fuori altri “che erano insieme con lui per la pesca” e inoltre due “soci di Simone”, Giacomo e Giovanni; nell’episodio giovanneo i discepoli menzionati sono sette, e tutti impegnati nella pesca.
Gli apostoli sono stati chiamati non per essere degli “eroi solitari”, ma per fare parte di una comunità. Forse è sempre stato vero, ma oggi – grazie a Dio – sta diventando coscienza comune dei cristiani e dei preti: è insieme che si cammina dietro a Cristo.
Se un prete stringe relazioni significative con i laici e specialmente con alcuni confratelli, oltre che con il vescovo, può affrontare gli ostacoli del cammino: le delusioni pastorali, le aridità spirituali, le difficoltà affettive. Ma se cammina da solo, basterà poco per fermarsi. Si parla oggi comunemente, dopo l’ultimo Concilio, del triplice vincolo di comunione nel quale il prete è inserito: con il popolo di Dio al quale è inviato (sia una comunità territoriale o di ambiente o altro), con il vescovo e con gli altri preti, dentro all’unico presbiterio. Il prete è un uomo in relazione. La relazione è così importante, che quando è carente o malata porta alla crisi.
Missione
Tutti e quattro i racconti evangelici mettono a tema la missione: i tre Sinottici proprio con l’espressione “pescatori di uomini” (in Mc e Mt Gesù la dice a Simone e Andrea, in Lc solo a Simone); Lc e Gv imperniano poi tutto l’episodio sul tema della pesca abbondante. La chiamata produce frutto, è ‘estroversa’, muove alla missione. Ogni autentica vocazione cristiana non si attarda a specchiarsi e compiacersi di se stessa, ma fa come Maria, parte in fretta e va ad annunciare quello che è successo. Leggendo insieme Lc e Gv, emerge come la missione di quei pescatori si strutturi attorno a tre elementi: la parola di Gesù, il pasto con lui, la carità che permette di riconoscerlo.
Lc mette in evidenza la missione attorno alla parola. Gesù, all’inizio della scena lucana, è attorniato dalla folla che “gli faceva ressa intorno per ascoltare la parola di Dio” (5,2). Gesù allora sale sulla barca di Simone, lo invita a scostarsi un poco dalla riva, e “si mise ad ammaestrare le folle dalla barca” (5,3). E poi improvvisamente ordina a Simone: “prendi il largo e calate le reti per la pesca” (5,4); è illogico chiedere in pieno giorno di gettare le reti, quanto oltretutto l’intera notte era stata un fiasco. La risposta di Simone, “sulla tua parola getterò le reti” (Lc 5,5), è il primo ‘progetto pastorale’ petrino: progetto fatto di puro affidamento ad una parola che non appariva per niente promettente.
La compiaciuta insistenza di Lc sull’abbondanza della pesca (“una quantità enorme di pesci”, “le reti si rompevano”, “riempirono tutte e due le barche al punto che quasi affondavano”: vv. 6-7) serve a dire alla Chiesa che non deve preoccuparsi di calcolare troppo, confidare unicamente nelle strategie e nei bilanci… tutto questo è utile, ma se non parte dalla parola di Gesù, conduce al fallimento. Le strategie raffinate senza la parola di Dio vanno bene per portare avanti un’azienda, non la Chiesa; questa ha bisogno di prendere avvio dalla sua parola, anche quando appare così lontana dalla logica del mondo (come pescare in pieno giorno dopo una notte di inutili fatiche).
Nei nostri anni la Chiesa vive una situazione di inaudita impermeabilità alla parola di Dio, che paradossalmente è anche una grande opportunità; oggi infatti i cristiani, e specialmente i predicatori del Vangelo, sono davvero ‘inermi’ e ‘poveri’ di fronte alla cultura imperante; non perché manchino loro le ragioni (anzi, i cristiani qualche volta vengono lasciati soli a sostenere l’importanza della ragione), e neanche perché manchi la ricchezza dell’esperienza (anzi, la Tradizione della Chiesa è un tesoro ineguagliabile); sono ‘poveri’, i cristiani, perché non hanno la possibilità di imporsi, di spiegare bene le loro posizioni, di articolare compiutamente la parola di Gesù.
Ma in questa situazione, dicevo, si racchiude anche una grande opportunità: oggi la Chiesa non può più contare sul vento favorevole della cultura, delle istituzioni e mentalità, del costume e perfino del potere politico, come è accaduto in altre epoche: è quindi stimolata con maggiore forza ad affidarsi alla parola di Gesù. Proprio come Simone, al quale tutto avrebbe suggerito di ignorare la richiesta di Gesù, e che invece vi si consegna. Se Lc evidenzia la parola, in Gv sono piuttosto l’amore e il pasto con il Risorto a strutturare la missione dei pescatori.
L’avvio della scena è diverso rispetto a Lc: Gesù è assente all’inizio; sei discepoli assecondano l’idea di Simon Pietro di andare a pescare (Gv 21,3); comunque anche qui, come in Lc, quella notte non prendono nulla. Gesù era già comparso loro, per Gv, al ca. 20 a Gerusalemme (prima ai Dieci senza Tommaso poi agli Undici); ma Gv 21, ambientato in Galilea, è quasi certamente un’aggiunta successiva al Vangelo, che termina con il cap. 20. La scena infatti fa pensare che i discepoli non avessero ancora ricevuto alcuna visione del Risorto: e faticano a riconoscerlo.
Che cos’è che li conduce al riconoscimento? La pesca miracolosa: infatti quando Gesù, all’alba, si presenta sulla riva e chiede di gettare la rete sulla parte destra della barca (v. 6a), i discepoli ancora non sanno chi è. Solo una volta che “non potevano tirarla su per la gran quantità di pesci” (v. 6b), il discepolo che Gesù amava dice a Pietro “è il Signore” (v. 7).
Questo primo riconoscimento avviene dunque da parte di colui che è oggetto di amore, cioè “il discepolo” in quanto tale. Il suo nome non è rivelato, se non alla fine del vangelo, forse proprio per dire che ciascuno di noi è “il discepolo che Gesù ama”; quel discepolo è paradigma di ogni altro discepolo della storia. Sembra quindi che Gv 21 qui suggerisca questa idea: il pescatore-missionario riconosce Gesù nel momento in cui si sente amato da lui.
La missione è dunque questione di amore, prima e più che di metodo e di pianificazione. Gv 21, infine, connette la pesca miracolosa ad un pasto con Gesù. E’ questo, anzi, il motivo per cui Gesù invia i discepoli a pescare: “Figlioli, non avete nulla da mangiare?” (v. 5).
La pesca missionaria prende avvio dalla necessità di preparare un pasto con il Risorto. E la pietanza è ricca: 153 grossi pesci (v. 11); numero che, comunque inteso, sembra indicare l’universalità. Parola, carità, eucaristia: sono questi gli ingredienti che aiuteranno i preti ad affrontare anche le nuove sfide pastorali, connesse al calo numerico e connesse anche alla impermeabilità di tanta cultura odierna al Vangelo.
Ai preti non è consentito di disperare, perché non sono loro i protagonisti della pesca; essi sanno che non è nel conteggio dei pesci o nel successo immediato della missione, ma è nell’apertura alla parola di Gesù, nella carità e nell’eucaristia che troveranno le risorse per continuare ad essere segno e strumento di speranza.